Infrastructure-as-Code non è più opzionale. Le aziende che intendono gestire e scalare seriamente la propria infrastruttura cloud si affidano a Terraform. Ma con il successo crescente e l'aumento della complessità si pone una domanda cruciale: quanto può o deve essere grande un Terraform State?
Uno State troppo grande blocca i team, rallenta i processi e genera rischi inutili. Uno troppo piccolo invece comporta overhead superfluo e una coerenza fragile. Si tratta quindi di trovare la giusta misura - né troppo, né troppo poco, ma esattamente quella corretta. Benvenuti nel principio di Goldilocks applicato a Terraform.
Il principio di Goldilocks nel mondo della IaC
Il cosiddetto principio di Riccioli d’Oro proviene originariamente da una fiaba inglese. La protagonista, Riccioli d’Oro, prova diverse opzioni - per esempio troppo calda, troppo fredda e infine quella giusta - e alla fine sceglie la soluzione intermedia. Questa immagine si adatta perfettamente al mondo di Terraform.
Anche qui cerchiamo l'equilibrio ideale. L'obiettivo è una configurazione che non sia né troppo granulare né eccessivamente monolitica. Tre obiettivi centrali sono al centro dell'attenzione:
- Massima efficienza nella distribuzione e nella gestione dell'infrastruttura
- Evitare ridondanze inutili, come spesso accade in State troppo grandi
- Evitare stati incompleti, che possono derivare da una frammentazione eccessiva
In pratica questo significa: abbiamo bisogno di una struttura che garantisca ai team l'indipendenza necessaria e allo stesso tempo permetta una visione coerente del sistema complessivo.
La sfida del dimensionamento corretto dello State
La domanda sulla "giusta" dimensione di un Terraform State si pone prima o poi in ogni ambiente di una certa complessità. Non esiste una ricetta universale - ciò che funziona dipende fortemente dallo specifico caso d'uso, ed è sempre individuale rispetto alle esigenze del cliente.
Tuttavia, dopo diversi progetti per clienti diversi, è possibile riconoscere chiaramente sfide tipiche ricorrenti.
Cosa succede quando gli States sono troppo grandi?
I grandi Terraform States appaiono inizialmente allettanti: tutto è in un unico posto, facile da versionare, chiaro... il data center con la pressione di un pulsante, sogno di molti manager e decisori, sembra realizzabile con Terraform. Parlo per esperienza personale: quando ho iniziato con Terraform quasi dieci anni fa, sono caduto anch’io in questa trappola. Sì, l’aspetto è impressionante e sembra che molti problemi siano stati risolti. Ma questa impressione è fuorviante. Perché la realtà mostra presto un altro volto.
Si presentano rapidamente:
- Problemi di performance: terraform plan o apply richiedono tempi infiniti, poiché gli States di grandi dimensioni consumano molta potenza di calcolo e larghezza di banda. Il caso più estremo che ho incontrato finora è stato un terraform apply che, oltre a reti e VM, voleva anche installare un intero cluster di database Oracle e nel migliore dei casi si concludeva dopo 75 minuti. Questo è stato l’emblema dell’errore da principiante.
- Lock bloccanti: Quando più team o collaboratori lavorano sullo stesso State, si verificano conflitti e tempi di attesa. Il risultato sono spesso frustrazione, lamentele rumorose e perdita di produttività.
- Gestione del rischio complessa: Errori in un modulo possono avere ripercussioni su ampie parti dell’infrastruttura. Questo è particolarmente critico in ambienti produttivi. Più risorse cerca di implementare un modulo Terraform, maggiore è il blast radius in caso di errore. Anche in Terraform vale la vecchia regola operativa: più qualcosa è complesso, più forte e rapido sarà il botto.
- Cicli di sviluppo rallentati: Le modifiche richiedono più tempo, il time-to-market aumenta e la Continuous Delivery diventa una sfida. I feedback loop dovrebbero essere il più brevi possibile. 60 minuti per un tentativo di deploy dell’infrastruttura non sono affatto brevi.
E se gli States sono troppo piccoli?
L’altro estremo è altrettanto problematico. Chi suddivide l’infrastruttura in troppi piccoli States si ritrova presto con un altro tipo di disastro:
- Sforzo di gestione: Decine o centinaia di States devono essere mantenuti, versionati e coordinati. Questo richiede tempo e genera complessità. Nel peggiore dei casi, dalla complessità si passa alla complicazione, e allora nessuno ci capisce più nulla. L’ultima cosa che si vuole ottenere con Infrastructure-as-Code è la rinascita di un vecchio problema dell’IT artigianale: qualcosa di così antico e stratificato che nessuno vuole più toccarlo volontariamente e che diventa sempre più una bomba a orologeria critica.
- Problemi di coerenza: Le dipendenze tra gli States - ad esempio VPC, Subnet o Security Group - diventano difficili da tracciare. Le fonti di errore si moltiplicano. Si effettua una modifica in un angolo dell’infrastruttura, e improvvisamente si rompe qualcosa in un altro punto. Non è proprio il massimo se si vogliono evitare turni di notte dovuti alla riparazione manuale degli States.
- Duplicazione del codice: La logica riutilizzabile non viene più gestita centralmente, ma riscritta in molti moduli. Questo contraddice il principio DRY e fa sì che lo stato dell’infrastruttura deragli progressivamente da uno stato ben definito verso uno stato sì definito, ma sempre più opaco. Fare reverse-engineering dell’infrastruttura era proprio quello che si voleva evitare, ma se ognuno reinventa la ruota, lo si provoca inevitabilmente sul lungo termine.
- Gestione delle risorse frammentata: Senza una visione centrale dell’infrastruttura, la comprensione complessiva diventa difficile. Chi ha cambiato cosa, quando e dove? La risposta è spesso solo un’alzata di spalle.
Esempi architetturali per Terraform States ottimizzati
La teoria della "giusta misura" è valida solo quanto la sua applicazione pratica. Per questo vale la pena dare uno sguardo a modelli architetturali collaudati, che si sono affermati in configurazioni Terraform scalabili. Due approcci si sono dimostrati particolarmente efficaci: l'approccio a layer per strategie Multi-Account e una struttura basata su domini per ambienti a Microservizi.
Esempio 1: Strategia cloud multi-account con approccio a layer
Un modello ampiamente collaudato è la suddivisione degli States in layer funzionali. Questo principio si orienta al ciclo di vita e alla frequenza di modifica degli elementi infrastrutturali. Il risultato è una struttura di State chiaramente suddivisa:
├── Foundation Layer
│ ├── network-state.tf # VPCs, Subnets, Transit Gateways
│ ├── security-baseline-state.tf # Security Groups, NACLs, IAM Baseline
│ └── monitoring-state.tf # CloudWatch, Logging, Alarming
│
├── Platform Layer
│ ├── data-services-state.tf # Databases, Queues, Storage
│ ├── kubernetes-state.tf # EKS/OKE Cluster, Node Groups
│ └── ci-cd-state.tf # CI/CD Infrastructure
│
└── Application Layer
├── app-team-a-state.tf # Team A's Applications
├── app-team-b-state.tf # Team B's Applications
└── shared-services-state.tf # Shared Application Services
Cosa rende questo approccio così interessante?
Questo approccio corrisponde al modo di pensare degli ingegneri. Esistono tre layer:
- Foundation Layer: Contiene risorse stabili con bassa frequenza di cambiamento. Reti, baseline di sicurezza e componenti di observability sono longevi e soggetti più a requisiti infrastrutturali che di business. Il tasso di modifica è basso, poiché nessuno rinomina regolarmente i CIDR delle reti o modifica le policy di sicurezza.
- Platform Layer: Componenti come database o cluster Kubernetes cambiano con moderata frequenza. Sono rilevanti per il business, ma non oggetto di modifiche quotidiane. Spesso si osserva ancora un classico change management con cicli di rilascio da 3, 6 o 12 mesi, a seconda delle esigenze aziendali e di compliance.
- Application Layer: Questa parte è molto dinamica. Lo sviluppo di funzionalità e altre innovazioni del prodotto comportano continui deploy e test, che a loro volta portano a frequenti modifiche dell’infrastruttura. In questo layer la parola chiave è "On Demand" - le risorse vengono distribuite solo quando effettivamente necessarie e poi distrutte per risparmiare sui costi. Per questo motivo gli States qui sono piccoli e isolati per team. Se il Team A causa un problema, il Team B non ne risente.
Questa struttura supporta sia una chiara separazione delle responsabilità sia un’efficiente parallelizzazione del lavoro tra team. Allo stesso tempo riduce il rischio di effetti collaterali indesiderati in caso di modifiche.
Esempio 2: Terraform guidato dai domini per ambienti a Microservizi
Un approccio completamente diverso, ma altrettanto efficace, si trova nelle organizzazioni orientate ai microservizi: la suddivisione degli States per domini aziendali. Qui Infrastructure-as-Code viene organizzata secondo i domini di business - in modo simile al Domain-Driven Design.
├── Infrastructure Domain
│ ├── networking-state.tf # Shared Networking
│ └── security-state.tf # Security Controls
│
├── Service Domains
│ ├── user-service-domain.tf # User Management Services + Infrastructure
│ ├── payment-domain.tf # Payment Processing + Infrastructure
│ └── content-domain.tf # Content Management + Infrastructure
│
└── Cross-cutting Concerns
├── monitoring-state.tf # Observability Infrastructure
├── backup-state.tf # Backup and Recovery Systems
└── compliance-state.tf # Compliance Controls
Perché funziona bene?
Questo approccio corrisponde al modo di pensare dei manager IT.
- Allineamento con la logica di business: L'infrastruttura tecnica riflette l'organizzazione dei domini aziendali. Questo facilita la comunicazione tra Dev, Ops e Management.
- Autonomia dei team: Ogni team gestisce il proprio dominio, compresa l’infrastruttura correlata. La dipendenza da team centrali viene ridotta al minimo. Se più aree di responsabilità (rete, database, storage, ecc.) provenienti da silos diversi partecipano allo stesso servizio, vengono consolidate per servizio. Questo aumenta l'agilità e il time-to-market, due parole chiave molto apprezzate nei circoli manageriali.
- Minore necessità di coordinamento: Le modifiche infrastrutturali all’interno di un dominio riguardano raramente altri team, riducendo notevolmente gli sforzi di coordinamento tra team. Anche questo è apprezzato dai manager, perché rafforza la responsabilizzazione dei Value Stream e degli Scrum Team.
Un vantaggio particolarmente importante di questo approccio è la flessibilità nell'organizzazione dei team. Nuovi servizi o domini possono essere aggiunti facilmente, senza compromettere o dover ristrutturare quelli esistenti. I collaboratori possono essere impiegati sia in team di infrastruttura di base sia in team di servizio (team virtuali). Questa flessibilità, tuttavia, promuove anche la duplicazione del codice, motivo per cui i layer della Infrastructure Domain e dei Cross-Cutting Concerns sono molto importanti per evitare conflitti di codice e per definire direttive chiare e moduli base da utilizzare obbligatoriamente dai team di servizio. Per questo è indispensabile l’introduzione di Policy-as-Code, perché le direttive non devono solo essere definite, ma anche enforceabili a livello di Terraform.
Value Streams e gestione dei Terraform State
La strutturazione dei Terraform States non dovrebbe basarsi esclusivamente su layer o moduli tecnici. È molto più utile osservare i flussi di valore di un’organizzazione. Chi struttura gli States lungo i Value Streams si orienta coerentemente a ciò che genera realmente valore. Questo vale sia per il provisioning dell’infrastruttura sia per il rollout di nuove funzionalità.
Nella pratica si sono rivelati particolarmente rilevanti due flussi di valore centrali: Infrastructure Provisioning e Application Deployment.
Value Stream 1: Infrastructure Provisioning
Nel provisioning di un ambiente completo - ad esempio per un nuovo progetto o una nuova regione - è fondamentale che i Terraform States siano logicamente concatenati, ma presentino la minore interdipendenza possibile. L’obiettivo è poter effettuare il provisioning di ampie porzioni dell’infrastruttura in modo indipendente.
Un modello collaudato si presenta così:
Cosa c’è dietro?
- Remote State Layer: Configurazioni globali come IAM Policies, gestione centralizzata dei Secrets o State Backend costituiscono la base.
- Network Layer: Successivamente vengono create le risorse regionali come VPC, Subnet o Transit Gateway.
- Platform Layer: I servizi cloud-native come cluster Kubernetes, database o sistemi di messaggistica seguono a ruota.
- Application Layer: Qui si trovano i workload, le configurazioni CI/CD e la logica applicativa. Questo layer dovrebbe essere il più possibile deployabile in modo indipendente.
La modularità di questa struttura consente ai team di avviare rapidamente e in modo controllato interi ambienti. Questo è particolarmente interessante nel caso di nuovi clienti, regioni o aree di business.
Value Stream 2: Application Deployment
Un secondo flusso di valore altrettanto critico è il feature deployment. Qui l’attenzione è rivolta a velocità, stabilità e impatto minimo su altre componenti. Idealmente, le modifiche all’applicazione dovrebbero poter essere distribuite in modo isolato e senza effetti collaterali su altri States.
L’immagine obiettivo si presenta così:
Su cosa si concentra questo approccio?
- Separazione per ambiente: Ambienti di sviluppo, test e produzione hanno ciascuno i propri States. In questo modo, nuove funzionalità possono essere validate in ambienti di test isolati prima di entrare in produzione. Sebbene si desideri che gli ambienti siano rappresentativi e identici tra loro, la separazione degli States è obbligatoria per evitare che una modifica nell’ambiente di test abbia ripercussioni involontarie in produzione.
- Minime dipendenze: Gli States sono volutamente snelli, per consentire modifiche a basso rischio. Risorse come database o reti vengono referenziate tramite Outputs, ma non modificate direttamente.
- Elevata parallelizzabilità: I feature branch in Git portano a modifiche isolate su pochi States. In questo modo, il team di deployment può reagire rapidamente senza entrare in conflitto con altri team.
La combinazione tra approccio basato sui Value Stream e struttura degli States progettata consapevolmente crea un quadro stabile per deploy efficienti, sicuri e scalabili. Dal foundation dell’infrastruttura fino al go-live di una nuova feature, questa combinazione consente da un lato un elevato grado di flessibilità, dall’altro mantiene sotto controllo l’infrastruttura e il blast radius in caso di errore. In questo modo si può raggiungere uno stato ben definito per l’intero data center.
L'applicazione pratica del principio di Goldilocks
Il principio di Goldilocks è più di una semplice metafora: è uno strumento pratico per progettare moduli Terraform robusti e manutenibili. L’arte sta nello scegliere il giusto numero di variabili, configurazioni e output. Né troppo, né troppo poco, ma esattamente il necessario.
Questo diagramma visualizza questa tensione: sul lato sinistro c’è il sottodimensionamento, su quello destro l’eccessiva ottimizzazione. Al centro si trova la cosiddetta zona Goldilocks - l’area in cui i moduli sono sia flessibili sia stabili e facilmente manutenibili.
Quando è troppo poco...
Un modulo sottodimensionato può inizialmente sembrare allettante perché semplice. Ma è un’illusione. Tipicamente, si riconosce questa situazione dai seguenti segnali:
- Monoliti: Un unico file di State centrale che contiene tutto - dalla rete alla sicurezza fino ai workload
- Incompleto: Parametri pochi o assenti, che portano a una dipendenza dalla qualità del provider e a valori hardcoded
- Codice statico: Riutilizzabilità limitata, perché tutto è costruito su un caso d’uso concreto e il modulo non è completamente dinamico
- Output carenti: Strutture di output rigide, difficilmente integrabili in altri moduli
- Assenza di guardrail: Verifiche incomplete dei valori in input (le cosiddette Variable Validations), Lifecycle Conditions e Runtime Checks per il controllo dei valori calcolati o restituiti via API sono fondamentali per garantire l’interazione corretta con e tra le risorse fornite
Tali moduli sono difficili da adattare e tendono a crollare alla prima richiesta di flessibilità.
Quando è troppo...
All’altro estremo dello spettro si nasconde il pericolo dell’iperstrutturazione. Lo si riconosce da:
- Micromanagement: Una moltitudine di moduli e States piccoli, difficili da gestire
- Parametrizzazione eccessiva: Ogni dettaglio è controllato esternamente, anche configurazioni banali. I valori di default sono assenti o inutili
- Dipendenze complesse: Gli Outputs si referenziano reciprocamente in modo caotico, dando origine a una vera e propria “orgia di output”
- Overload di dati: Outputs ridondanti o inutilmente generici che non portano reale beneficio, invece di pochi Outputs chiari e strutturati come mappe Key/Value
Qui si genera overhead inutile, sia nel codice che nella comprensione. La curva di apprendimento per i nuovi membri del team aumenta e il rischio di errori cresce.
La Goldilocks Zone: Esattamente giusto
Al centro si trova il modello ideale: moduli Terraform modulari, comprensibili e orientati al lavoro di team. Le caratteristiche tipiche sono:
- States modularizzati con confini chiari: Gli States e i moduli sono suddivisi per layer, domini o ambienti
- Parametri sufficienti ma non eccessivi: I moduli operano con valori di default sensati che coprono l’80 % dei casi d’uso
- Moduli riutilizzabili: Solo tramite completa dinamizzazione si ottengono componenti riutilizzabili con una struttura ragionata anche tra team
- Strutture di output consistenti: Gli Outputs sono logicamente nominati e facilmente referenziabili
Chi trova questo equilibrio crea la base per architetture IaC stabili che scalano con l’organizzazione invece di ostacolarla.
Best practice per implementazioni Terraform scalabili
Terraform è uno strumento potente - ma il suo vero potenziale emerge solo se utilizzato in modo sistematico e strategico. Soprattutto negli ambienti in fase di scalabilità, alcuni principi fondamentali sono decisivi per creare configurazioni durevoli, robuste ed efficienti. Di seguito presentiamo quattro best practice affermate, emerse in contesti cloud complessi.
1. Segmentazione dello State in base alla velocità di cambiamento (Change Velocity)
Non tutti gli elementi dell’infrastruttura cambiano con la stessa frequenza - e questa differenza dovrebbe riflettersi nella struttura di Terraform. Una segmentazione basata sulla frequenza di modifica aiuta a evitare conflitti e accelerare i cicli di sviluppo.
Un esempio di tale struttura in un ambiente AWS:
└── AWS Infrastructure ├── low-velocity/ # Modifiche rare (es. reti, IAM) │ ├── network/ │ ├── security/ │ └── dns/ │ ├── medium-velocity/ # Modifiche occasionali (es. database) │ ├── rds/ │ ├── elasticache/ │ └── sqs/ │ └── high-velocity/ # Modifiche frequenti (es. Compute, Workloads) ├── app-cluster-a/ ├── app-cluster-b/ └── batch-processing/
Perché funziona: I team possono lavorare in modo indipendente senza ostacolarsi. Gli elementi infrastrutturali raramente modificati sono disaccoppiati dai deployment frequenti - ciò migliora sia la stabilità che l’agilità.
2. Moduli Terraform dinamici con variabili validate
Un modulo strutturato correttamente è più di un contenitore di risorse. Deve essere progettato per adattarsi in modo flessibile a diversi contesti - senza diventare ingestibile.
Cosa comprende:
- Validazione delle variabili: Ogni variabile dovrebbe, ove possibile, essere validata tramite blocchi di validation per identificare valori non validi già in fase iniziale.
- Type safety: Utilizzare definizioni di tipo precise (string, number, bool, list(object) ecc.) per evitare ambiguità.
- Variabili opzionali con supporto null: Molte variabili sono opzionali - ma devono essere dichiarate nullable per poter essere usate correttamente nelle conditional expressions.
Un esempio:
variable "mounts" { type = map(object({ audit_non_hmac_request_keys = optional(list(string)) audit_non_hmac_response_keys = optional(list(string)) allowed_managed_keys = optional(set(string)) default_lease_ttl_seconds = optional(number) description = optional(string) external_entropy_access = optional(bool) identity_token_key = optional(string) listing_visibility = optional(string) local = optional(bool) max_lease_ttl_seconds = optional(number) namespace = optional(string) options = optional(map(any)) passthrough_request_headers = optional(list(string)) plugin_version = optional(string) seal_wrap = optional(bool) allowed_response_headers = optional(list(string)) delegated_auth_accessors = optional(list(string)) path = string type = string })) default = null description = <<-EOT Defines the configurations for Vault mounts. Each mount configuration should specify the following keys:\
\[...]
EOT
validation { condition = ( var.mounts == null ? true : alltrue(\[ for mount in var.mounts : ( mount.listing\_visibility == null || mount.listing\_visibility == "unauth" || mount.listing\_visibility == "hidden" ) ]) ) error\_message = "The 'listing\_visibility' value must be either 'unauth' or 'hidden' if specified." } validation { condition = ( var.mounts == null ? true : alltrue(\[ for mount in var.mounts : ( mount.path == null || ( !startswith(mount.path, "/") && !endswith(mount.path, "/") ) ) ]) ) error\_message = "The 'path' value must not start or end with a '/'." }
\[... etc. ...]
}
Moduli di questo tipo sono utilizzabili trasversalmente tra i team e riducono sensibilmente il carico di supporto.
3. Dipendenze tra States tramite Remote State
In ambienti complessi, evitare completamente le dipendenze tra risorse è spesso impossibile. Tuttavia, anziché modellarle direttamente, è preferibile usare gli Outputs del Remote State. Il principio è semplice: uno State produce Outputs rilevanti, un altro li consuma tramite la data source terraform_remote_state.
Per un deep dive consultate la prima parte della nostra serie di articoli "Terraform @ Scale", dove abbiamo trattato l’argomento in modo approfondito attraverso diversi sottocapitoli.
4. Il toolstack HashiCorp come abilitante per le strategie State
Implementazioni Terraform scalabili non si basano solo su buon codice. Richiedono un ecosistema che supporti sicurezza, orchestrazione e riuso. In *ICT.technology* puntiamo con coerenza sullo stack HashiCorp per soddisfare questi requisiti. I componenti principali sono:
- Terraform / Terraform Enterprise
Gestione centralizzata dello State, Policy-as-Code (es. con Sentinel) e isolamento dei Workspace per i team - Vault / Vault Enterprise
Gestione sicura dei Secret, credenziali dinamiche per accessi cloud, rotazione, audit trail - Consul / Consul Enterprise
Service Discovery, Health Check, configurazione dinamica e integrazione con servizi di piattaforma - Nomad / Nomad Enterprise
Orchestrazione per container, VM e bare metal - con footprint inferiore rispetto a Kubernetes - Packer
Creazione di immagini standardizzate (Golden Images) con versionamento, idempotenza e integrazione CI/CD - Boundary / Boundary Enterprise (solo se gestite già cluster PostgreSQL di livello enterprise con SLA e OLA adeguati)
Accessi sicuri basati su identità ai componenti infrastrutturali - particolarmente rilevante per database in produzione o workload regolamentati
Questi strumenti abilitano una pratica Terraform coerente, tracciabile e sicura - anche in ambienti enterprise eterogenei e altamente dinamici.
Guida pratica al dimensionamento dello State
La dimensione ottimale di un Terraform State non si ricava da un modello predefinito, ma da un processo strutturato che armonizza la realtà tecnica con i requisiti organizzativi. Di seguito presentiamo una guida collaudata nella pratica, utile per la pianificazione e l’implementazione.
1. Analisi della struttura organizzativa
Il primo passo consiste nel comprendere a fondo la propria organizzazione:
- Chi gestisce quali risorse? Esistono team infrastrutturali centrali o i team applicativi lavorano in modo indipendente?
- Dove è necessaria autonomia? I team con alta frequenza di deployment dovrebbero avere States propri, per non bloccarsi a vicenda.
- Come si presentano i cicli di vita? Le risorse che vengono sviluppate o rimosse insieme dovrebbero idealmente appartenere allo stesso State.
2. Analisi delle dipendenze
Il secondo passo riguarda le connessioni tecniche tra le risorse:
- Quali risorse sono strettamente collegate? Esempio: Security Groups e istanze EC2, oppure Subnet e Load Balancer.
- Cosa può essere disaccoppiato? Monitoring, ruoli IAM o sistemi di backup possono spesso essere gestiti separatamente – questo riduce la complessità.
3. Test e iterazione
Prima di una riorganizzazione su larga scala, è consigliabile un test mirato:
- Progetti pilota con struttura variabile dello State: Ad esempio, un team che passa da un approccio monolitico a uno segmentato.
- Criteri misurabili: Performance (Plan/Apply), frequenza degli errori, soddisfazione del team, velocità dei rilasci.
Caso di studio: migrazione cloud di un cliente enterprise
Un esempio significativo proviene da un fornitore di servizi finanziari che *ICT.technology* ha supportato nella transizione da un'infrastruttura on-premise a *Oracle Cloud Infrastructure (OCI)*.
Situazione iniziale:
L’ambiente Terraform era costituito da un unico grande State. Il risultato:
- Quasi 45 minuti di esecuzione per ogni terraform apply
- Frequente insorgenza di conflitti di State Locking
- Cicli di sviluppo e rilascio lenti
Approccio risolutivo:
Abbiamo applicato il principio di Goldilocks e segmentato l’infrastruttura come segue (con la multi-tenancy di Terraform Enterprise che ha poi consentito l’assegnazione dei singoli team o servizi in base alle necessità specifiche):
├── Foundation │ ├── network/ │ │ ├── transit/ │ │ ├── network/ │ │ └── interconnect/ │ └── security/ │ ├── iam/ │ ├── security-groups/ │ └── baseline/ ├── Data Services │ ├── databases/ │ ├── storage/ │ └── analytics/ └── Applications ├── frontend/ ├── backend/ ├── batch/ └── monitoring/
Risultati:
- Tempo di apply sotto i 5 minuti, grazie a un provisioning dell’infrastruttura molto più veloce
- Lavoro parallelo dei team abilitato, in quanto i team hanno potuto deployare in modo indipendente senza bloccarsi a vicenda
- Rilasci più rapidi del 70 % grazie a cicli di feedback più brevi e minori attriti
- Maggiore stabilità grazie a modifiche più piccole e ben delimitate, con un blast radius ridotto in caso di misconfigurazioni o errori umani in produzione
- Notevoli risparmi sui costi grazie al provisioning dinamico e su richiesta di Bare Metal Server e VM, ovvero deploy solo in caso di reale necessità e successiva distruzione automatica
Conclusione: il percorso verso una Terraform scalabile
Il dimensionamento dei Terraform States non è un problema architetturale da risolvere una volta sola. È piuttosto un processo di maturazione continua. Il principio di Goldilocks aiuta a evitare strutture estreme: la codebase non deve essere né troppo monolitica né troppo frammentata.
È fondamentale comprendere la propria organizzazione, separare chiaramente le responsabilità e progettare l’implementazione tecnica in modo coerente con i flussi di lavoro reali.
ICT.technology accompagna le aziende esattamente lungo questo percorso – dalla prima adozione cloud fino alla completa transizione verso l’eccellenza nell’Infrastructure-as-Code. Con una profonda competenza in Terraform, nello stack HashiCorp e nelle architetture cloud, sviluppiamo soluzioni tecnicamente solide e sostenibili dal punto di vista organizzativo.
Perché States Terraform ben strutturati non sono un fine a sé. Sono una leva fondamentale per scalabilità, velocità e stabilità operativa – e dunque un fattore di successo cruciale per ogni moderna organizzazione IT.